(liberamente tratto dal Quaderno del Portavoce n.8, L'oratorio di S. Dionigi e la Madonna del Miracolo, Carlo Valli)
Nel 1615 viveva a Gussago, nel bresciano, la famiglia Campi: il massaro Matteo, la moglie Elena Bonomi e il loro putto grandello, Francesco, di 15 anni, gente povera, ma buona, molto stimata e timorata di Dio.
All'epoca il massaro aveva il compito di condurre un fondo, ordinando e sorvegliando i lavori di campagna e rispondendo dell'azienda davanti al padrone. Così Matteo campava con la sua famiglia, lavoravando per il padrone che dimorava a Gardone Valtrompia.
Una mattina del gennaio 1615 Matteo chiama il figlio Francesco, ragazzo intelligente e spigliato, tanto che è tra i primi a rispondere nelle dispute in chiesa al catechismo, e gli dice:
“Prendi il muletto e vai al mercato di Gardone” forse per prendere ordini dal padrone.
Francesco, fiero di quel fatto di fiducia paterna, non pensa ai 29 chilometri di strada: sella il mulo, balza cavalcioni e parte. A pensarci comincia dopo quando vede che a quell'ora, e con quel freddo, gente per istrada non ce n'e molta e quando il muletto, dopo il primo trotterello, si rimette presto al passo, battendo a ritmo gli zoccoli ferrati sul terreno indurito dal gelo di quelle stradette di campagna, tutte a giravolte, che parevano fatte apposta per gli agguati dei malandrini. E d’impensierirsi il ragazzo non ha torto. A quei tempi mettersi in viaggio non era impresa da ridere. C'era da segnarsi due volte e da raccomandarsi a tutti i Santi. Di fatti, per ogni borgo un castellaccio, per ogni castellaccio un signorotto, per ogni signorotto una masnada di bravacci, schiuma di ribaldi, avanzi di galera, i quali in teoria, dovevano difendere i galantuomini e dar la caccia ai briganti, viceversa in pratica, se la intendevano con costoro per dar addosso ai galantuomini e dividerne il bottino.
Il giovanetto fa del suo meglio per darsi un contegno; ma proprio a farlo apposta, tutte quelle storie fosche di ladri, di aggressioni, di massacri sulla strada, che ha sentito ripetere nelle lunghe sere d'inverno, gli passano per la mente. E non è certo un'allegria. Ad un certo momento, sentite cosa succede. Mentre col cuore sospeso, sempre col timore di qualche brutto incontro, guarda in sospetto davanti a sè, ecco là, a poca distanza, proprio in mezzo alla strada per dove aveva a passare, un'ombra infagottata: che sia un uomo? Si avvicina, si china, guarda; ma sì, è proprio un uomo lungo disteso! Ecco lì i piedi, le gambe, il tronco, le braccia, la testa... No, no: la testa non c'è. Possibile? Vi dico che non c'è. I briganti glie l’han mozzata di colpo, e poi l’han rotolata chissà dove, forse nel fosso laterale, e al posto della testa c'e una larga pozza di sangue scuro raggrumato. Oh, Dio: che paura! Il ragazzo dà un sobbalzo di raccapriccio. Si sente troncare il respiro, gli pare quasi che una forza misteriosa lo ghermisca, lo sollevi per balzarlo di sella, vampe di fuoco gli accendono il viso e brividi di gelo gli scuotono le membra. Sente un gran tuffo al cuore: è tutto in un sudore freddo di morte che gli scorre per la persona. Addio mercato di Gardone! Francesco con uno strattone delle redini volta il mulo verso casa, dove arriva stravolto, inebetito, più morto che vivo, a raccontare l'accaduto. Papà e mamma lo lasciano dire; poi cercano di calmarlo, di distrarlo, di incoraggiarlo, di fargli dimenticare il macabro incontro. Fatica sprecata. II suo pensiero e sempre là.
Siede per mangiare, e l'ombra del morto gli ferma il boccone in gola. Si corica per dormire e il morto senza testa gli è lì di fianco e gli porta via il sonno. A volte il cuore gli batte forte forte e pare che gli voglia scoppiare in petto: fremiti convulsi gli scuotono con violenza tutte le membra. Passano i giorni, ma la funesta impressione non passa: il ragazzo deperisce a vista d'occhio. I genitori impensieriti lo mettono in mano a un dottore. Si provano tutti i rimedi: non c'è rimedio che giovi. Perde sempre più sonno e appetito e movimento e parola. Che sia stregato? Si domandano i genitori. Che sia indemoniato? Proviamo a farlo benedire!
Lo conducono a Brescia da un frate carmelitano, di molta rinomanza, iI quale, visto il ragazzo in quello stato pietoso dice ai genitori:
“sentite le benedizioni fanno sempre bene, ma se voi non badate a farlo curare, questo ragazzo, va a finir male”.
“Lo sappiamo anche noi” rispondono
“ma che cosa ci possiamo fare? Abbiamo provato di tutto e va sempre peggio!”.
“V'insegnerò io” propone il frate
“un medico specialista”. E vanno anche dallo specialista, iI quale non trova di meglio che ordinare delle pillole, da darsi al ragazzo proprio nei due giorni di Pasqua e di Ascensione, né prima né dopo. Ecco; per non perdere la stima a quel dottore, giova supporre che Egli per primo sapesse che il rimedio non contava e che lo ordinasse tanto per fare contenta quella povera gente. Comunque, l’effetto di quelle "prodigiose" pillole è che, se fino a quel momento il ragazzo qualche passo, qualche gesto, qualche parola o bene o male li aveva potuti stentare, appena ingoiati "i morselli", diventò muto e storpio in modo che non parlò più parola: non poteva né vestirsi né disvestirsi né andare: non poteva muovere le gambe, né lavarsi se era sentato, né mettersi le mani alla bocca, né mangiare da per lui; et bisognava imbocarlo se si voleva farlo mangiare, attesta la sua mamma, e dargli roba liquida, perchè il pane asciutto non poteva né masticarlo, né farlo passare per la strozza. Non c'è bisogno d'esser professori di clinica per capire da questi particolari che qui si tratta di vera e propria paralisi generate prodotta dallo spavento e umanamente inguaribile.
Allora, visto che i dottori non possono farci nulla, che cosa pensano i genitori? Hanno sentito che al sepolcro di S. Carlo in Milano, sono frequenti le guarigioni miracolose, e fanno voto di condurre il proprio figliuolo. Domenica 16 agosto 1615 una piccola comitiva di cinque persone, Matteo con la moglie Elena, il figlio Francesco e i cognati Faustino e sua moglie, dopo Messa, si mette in viaggio con due muli per Milano.
Arrivano allaa sera al porto dell'Adda, alla cascina Cantarana. Qui abitava un loro compaesano, Battista Violini, detto appunto il bressano, il quale fu ben lieto di alloggiare le due donne, i due uomini e il putto.
All'ora di cena dice Battista agli ospiti:
“e il ragazzo perchè non viene a tavola?” “É muto, e paralizzato, non può muoversi”, rispondono. Finito di cenare, andarno le due donne, mamma e zia, da detto figliuolo, et con un cugiale (cucchiaio) ci dettero in bocca un poco di minestra (ci pare di vederla sbrodolare un po’ da per tutto, come succede a questi poveretti) et dopo li diedero da bevere; et stette là fino a quando non fu menato a dormire et non parlò più. Le due donne vanno in letto, i due uomini e il ragazzo su la cassina. Ma che da fare per tirarlo sul fienile? E ancora il Battista Violini che parla, e pare proprio un'istantanea
«Suo padre andò avanti su la scala et mi aiutai detto figliuolo sostenendolo: et a pena potè metter li piedi su duoi o tre baselli: et bisognò che suo padre lo pigliasse et tirasse su per li bracci, et mi aiutare di sotto. (Provate un po’ a figurarvi la scenetta di quest’ultimo, che aiutava di sotto!) né mai parlò detto figliuolo, et lo fecero dormire così vestito».
La comitiva dei cinque bresciani lunedì mattino 17 agosto 1615 si congedò dall'ospite cortese e partì dalla Cantarana per riprendere il suo viaggio; tragittò il fiume (su chiatta mobile o su ponte fisso). Fiancheggiando la sponda della Muzza, vennero su dalla strada degli Orti e imboccarono la via che passa davanti a S. Dionigi, l’unica, allora, che portava verso Milano.
La strada era, ed è tutta in salita, quindi è naturale che i due muletti che portavano le due donne e il ragazzo, e i due uomini che venivano dietro a piedi, andassero al passo. Era l'ora della Messa e Giovanni Pietro Ravelli, che stava lì seduto sul muricciolo di sostegno della gradinata, da buon cassanese che ci tiene a mettere in rilievo le glorie patrie, domanda alla forastiera che monta il muletto, col ragazzo muto e storpio in braccio:
“Volete fermarvi? Qui abbiamo una Madonna miracolosa, se altre ce n'è”.
Elena si volge agli uomini in cenno interrogativo. Gli uomini accorrono e aiutano a smontare madre e figliuolo. Ma Francesco, notano tutti i testimoni, non vuol saperne di entrare in S. Dionigi. A S. Carlo gli han promesso di condurlo e a S. Carlo vuole andare! trascinato e quasi portato a forza nella Chiesa contro la sua volontà era ben lontano dall'essere suggestionato dalla propria fantasia e dal proprio desiderio: anzi era in quello stato di indifferenza e di sfiducia, se non di incredulità, che manifestò S. Tommaso prima della apparizione di Gesù, la quale è la prova più sicura della realtà del miracolo.
Girolamo Mapello, testimonio giurato depone
«Lunedì mattina p.p. trovandomi in detta Chiesa quà di S. Dionisio di Cassano, viddi arrivare alla porta di delta Chiesa due huomini et due donne et un figliuolo... et viddi che detto figliuolo era menato et sostenuto da alcuni delli suddetti che erano seco, et viddi che detto figliuolo non voleva venir in detta Chiesa; et mi allora levai su et andai Ià per curiosità, et vidi per menarlo pian piano detto figliuolo in detta chiesa e giunti al lavello dell'acqua santa, gli pigliarno dette donne una mano et gli fecero toccar I'acqua santa et lo segnò tenendoli dette donne la mano».
Giunti alla Cappella della Madonna mentre il sacerdote usciva per celebrare la Messa , s'inginocchiarono, e la mamma li teneva le mani giunte perchè da per sé non poteva tener le mani gionte, e poiché per essere muto non poteva parlare né raccomandarsi alla Madonna con loquela, la mamma china all'orecchio del ragazzo gli suggerisce:
“Raccomandati col cuore”. A questo punto avviene il miracolo. Al suggerimento materno il ragazzo, quasi non ricordandosi più che da tanti mesi non pronunciava parola, né poteva muovere braccio, risponde distintamente: “
Bene!” Et sull'istante pose le mani nelli calzoni et colse il rosario da per lui et cominciò a dir orationi. Alla vista di sì stupendo, inaspettato miracolo, donne e uomini per allegrezza alzano braccia e voci al cielo:
“Gracia! Gracia! Oh Dio che la Madonna ha fatto la Gracia !” Immaginate la sorpresa e la gioia di quella brava gente, quando vedono il giovinetto, da vari mesi storpio e muto muoversi speditamente e lo sentono pregare a voce spiegata, come se non fosse mai stato malato. I cassanesi, che erano in chiesa si stringono intorno al gruppetto e si fanno raccontare. Matteo Campi guarda il figliolo e quasi non sa credere a propri occhi: consegna a Francesco un dinaro da offrire nello zocco (cassetta) che è in detto altare e, attesta il Ravelli,
«Viddi che detto flgliuolo levò su da se stesso et andò offerir in detto zocco et tornò da per lui da suo padre et tutti quelli che erano in chiesa concorsero a detto fatto e sentirono detto figliuolo parlare; e fu menato in sacristia dal prete che celebrò la Messa, qual lo interrogò et sentii che rispondeva, detto figliuolo, ma (notatelo bene) pareva che fosse uno che si fosse desdato da un gran sonno...». Poco dopo i cinque bresciani, ringraziata la Madonna per non far torto a S. Carlo, partono per Milano e vanno a sciogliere il voto.
Intanto il fatto prodigioso mette a rumore tutto Cassano. L'autorità ecclesiastica non può disinteressarsene. Il prevosto d'allora, don Giandomenico Dugnani, ne scrive immediatamente al vicario foraneo di Rivolta d'Adda, don Guglielmo Moroni. Questi viene a Cassano qualche giorno dopo, si porta nella Chiesa di S. Dionigi e qui vi istituisce una vera e propria istruttoria del fatto, chiamando a deporre le parti e i testimoni, con interrogatori minuti e interessantissimi nella loro forma fresca e genuina quasi dialettale. Ecco qui il ragazzo guarito, che è il primo a deporre
«Che dica et raconti per qual causa et effetto si trova qua ora in detta chiesa con detti suoi padre madre» «Mi trovo qua che mi ha menato qua mio padre et mia madre a ringraziare la Madonna qua di questa chiesa et li abbiamo portata ad offerire una tavorella (quadretto votivo) per aver lunedì passato ricevuto qua da questa Santissima Madonna, la sanità che (sic) ero muto e storpiato un pezza fa e fui guarito qua da questa Madonna». Richiesto, racconta le circostanze dello spavento avuto, della paralisi conseguente e della guarigione improvvisa e completa. Ma domandato da quanto tempo è che vidde detto morto, etc... risponde:
«Mi non so dir questo». Segue l'interrogatorio più diffuso del padre, Matteo Campi e della madre, Elena Bonomi, con particolari più minuti, quale poteva fornire soltanto una mamma, che con più intenso affanno e affetto aveva assiduamente assistito l'infelice figliuolo. Vengono poi sentiti Giovanni Pietro Ravelli, Girolamo Mapelli di Cassano e Battista Violini, il bressano della Cantarana, i quali completano la ricostruzione del fatto prodigioso. L'istruttoria era più che sufficiente a provare la realtà del fatti; avvenuti alla vista di un popolo intero. Ma l'autorità Ecclesiastica, che in simili casi procede a passi di piombo, non se ne accontentò. Non solo non si lasciò, rimorchiare dagli entusiasmi popolari, ma intimò che si coprisse con un tavolato l'immagine della Madonna, per sottrarla agli onori prematuri, anzi, a escludere perfino la lontana possibilità di un trucco o di una allucinazione da parte dei cinque bresciani. A mezzo del vescovo di Brescia dispone una seconda minuziosa istruttoria, tenuta il 2 ottobre 1615 a Gussago, da parte del rettore vicario foraneo di Saiano, alla presenza del notaio Benedetto Richiadei. Vengono interrogate sei persone, il prevosto di Gussago e un sacerdote, un medico e un chirurgo, due vicini di casa. II tema delle domande è questo: iI ragazzo Francesco Campi era prima veramente ammalato? Ora è proprio guarito? La guarigione può essere effetto di rimedi naturali? Le risposte sono unanimi. Andrea Ottali e Antonio Mombelli, vicini di casa, quasi con le stesse parole depongono:
“lo ho conosciuto Francesco prima sano et I'ho sentito parlare et di poi I'ho visto stroppiato e mutto et lo viddi anche quando partì da Gussago per andar a visitare il sepolcro di S. Carlo che era in malissima disposizione così di corpo come della lingua, et poi ritornato mi è parso miracolo di vederlo sano et a parlare, et noialtri vicini corressimo sentendo che il padre e la madre et detto figliuolo arrivati gridavano: gratia, gratia!" Il medico e il chirurgo di Gussago, Pietro Galeotti e G. Battista Moscatelli, depongono con giuramento che la recuparata sanità non può essere per mezzo naturale, ma puro miracolo. Chiudiamo con la testimonianza del prevosto di Gussago, don Retonzini, il quale dopo avere dichiarato che Matteo ed Elena Campi sono persone di buona fama e timorose di Dio e come tali stimate da tutti a Gussago, e quindi incapaci di trucco, afferma:
«Tutti quelli che hanno avuto cognitione della infermità del giovine, tengono per fermo che sia sanato per virtù soprannaturale, et molti di quelli di Gussago per devotione hanno visitato da poi la Madonna di S. Dionisio a Cassano».