Il Consiglio comunale, su iniziativa
della lista Cassano Etica Ecologista, ha approvato nella seduta del
30 novembre scorso un ordine del giorno che, nel ventennale della
morte, ricordando l'impegno per l'ambiente, per la pace e la
convivenza interetnica oltre che la sua opera in straordinaria
sintonia con i contenuti della recente enciclica di
papa Francesco
"Laudato si'", chiede alla Giunta di intitolare ad
Alexander Langer un luogo significativo della nostra città, come una
strada o un giardino.
Personalmente, sono molto felice di
questa indicazione.
Come molti, ho conosciuto Alexander
Langer dalla lettura dei suoi scritti, anche in raccolte pubblicate
dopo il 3 luglio 1995 quando, impiccandosi ad un albicocco, si tolse
volontariamente la vita a Firenze lasciandoci nell'ultimo saluto "i
pesi mi sono divenuti davvero isostenibili...non siate tristi,
continuate in ciò che era giusto".
Ho avuto anche la fortuna di incontrare
Langer nel settembre del 1992 a Erba all'eremo di san Salvatore,
luogo amato dal venerato Giuseppe Lazzati, io uditore e lui relatore,
insieme a Rosy Bindi e Paola Gaiotti, ad un convegno su "Il
cattolicesimo democratico, politica estera e sfide della nuova
Europa".
Mi ricordo che Alexander Langer arrivò
al convegno con il treno e un passaggio in auto offertogli da
qualcuno. Mi colpì la semplicità della persona che, prima di
mettersi al tavolo dei relatori, lui che da qualche anno era già
deputato al parlamento europeo, si scaricò dal baule il bagaglio,
che sembrava quello di uno studente, fatto da una sacca per gli abiti
e uno zainetto per un inusuale, all'epoca, computer portatile.
Ho trovato in casa i miei appunti di
quell'incontro.
Il 1989 era stato un anno di
cambiamento importante. Il mutato contesto internazionale che si
realizzava con la caduta del muro di Berlino prima e con il
dissolvimento dell'URSS dopo, aveva posto fine alla questione est
ovest del mondo riaprendo quella tra il nord e il sud.
Langer nel suo intervento sottolineava
come, per la Comunità Europea l'ottantanove fosse passato invano
metre era necessaria una revisione del disegno europeo perchè quel
modello basato sul primato dell'economia e della finanza, con un
deficit di cultura politica e di democrazia oltre che poco
federalista, non avrebbe potuto funzionare a lungo.
Oggi, ad oltre vent'anni di distanza,
si coglie in pieno la capacità profetica di Langer. Capacità non
tanto di indovinare il futuro, ma quanto di saper leggere il presente
alla luce del futuro.
Nel 92 gran parte dell'Europa (i paesi
dell'est) era tagliata fuori dalla Comunità Europea. Per Langer –
che era un forte sostenitore del progetto europeo – la Comunità
non doveva limitarsi ad una questione economica, ma diventare una
vera Unione degli stati europei democratici, un modello avanzato di
integrazione volontaria capace di superare lo Stato nazionale per
permettere a più identità etniche di convivere nel medesimo
territorio. "La collettività -
sosteneva Langer - è un prodotto storico e non biologico".
Langer conosceva bene il problema della
convivenza interetnica, lui altoatesino di madrelingua tedesca, nato
a Sterzing/Vipiteno nel 1946 dal padre Artur, medico, ebreo di origine
viennese e dalla madre Elisabeth, farmacista, cattolica, italiana e
sudtirolese.
Per Langer la risposta ai problemi
delle società plurietniche non poteva passare attraverso politiche
di inclusione forzata (cancellazione di identità, di lingue, delle
diversità, ecc.) o esclusione forzata (ghettizzazioni, espulisioni,
ecc.).
Le guerre della ex Jugoslavia erano
appena cominciate , i crimini di guerra e le operazioni di pulizia
etnica costarono migliaia di morti tra i civili.
Negli anni che seguirono Alex Langer fu più volte in missione
europea su quei territori. Lui, uomo di pace, implorò un intervento
che fermasse la carneficina in atto. Morì una settimana prima il
massacro di Srebrenica dove migliaia di musulmani bosniaci, in età
compresa tra i 14 e i 78 anni furono separati dalle donne e dai
bambini e trucidati dalle truppe serbo bosniache in una zona che al
momento doveva trovarsi sotto la tutela delle Nazioni Unite. Nel 2015
a Srebrenica si scava ancora nelle fosse comuni.