lunedì 7 dicembre 2015

ALEXANDER LANGER, COSTRUTTORE DI PONTI

Il Consiglio comunale, su iniziativa della lista Cassano Etica Ecologista, ha approvato nella seduta del 30 novembre scorso un ordine del giorno che, nel ventennale della morte, ricordando l'impegno per l'ambiente, per la pace e la convivenza interetnica oltre che la sua opera in straordinaria sintonia con i contenuti della recente enciclica di papa Francesco "Laudato si'", chiede alla Giunta di intitolare ad Alexander Langer un luogo significativo della nostra città, come una strada o un giardino.
Personalmente, sono molto felice di questa indicazione.
Come molti, ho conosciuto Alexander Langer dalla lettura dei suoi scritti, anche in raccolte pubblicate dopo il 3 luglio 1995 quando, impiccandosi ad un albicocco, si tolse volontariamente la vita a Firenze lasciandoci nell'ultimo saluto "i pesi mi sono divenuti davvero isostenibili...non siate tristi, continuate in ciò che era giusto".
Ho avuto anche la fortuna di incontrare Langer nel settembre del 1992 a Erba all'eremo di san Salvatore, luogo amato dal venerato Giuseppe Lazzati, io uditore e lui relatore, insieme a Rosy Bindi e Paola Gaiotti, ad un convegno su "Il cattolicesimo democratico, politica estera e sfide della nuova Europa".
Mi ricordo che Alexander Langer arrivò al convegno con il treno e un passaggio in auto offertogli da qualcuno. Mi colpì la semplicità della persona che, prima di mettersi al tavolo dei relatori, lui che da qualche anno era già deputato al parlamento europeo, si scaricò dal baule il bagaglio, che sembrava quello di uno studente, fatto da una sacca per gli abiti e uno zainetto per un inusuale, all'epoca, computer portatile.
Ho trovato in casa i miei appunti di quell'incontro.
Il 1989 era stato un anno di cambiamento importante. Il mutato contesto internazionale che si realizzava con la caduta del muro di Berlino prima e con il dissolvimento dell'URSS dopo, aveva posto fine alla questione est ovest del mondo riaprendo quella tra il nord e il sud.
Langer nel suo intervento sottolineava come, per la Comunità Europea l'ottantanove fosse passato invano metre era necessaria una revisione del disegno europeo perchè quel modello basato sul primato dell'economia e della finanza, con un deficit di cultura politica e di democrazia oltre che poco federalista, non avrebbe potuto funzionare a lungo.
Oggi, ad oltre vent'anni di distanza, si coglie in pieno la capacità profetica di Langer. Capacità non tanto di indovinare il futuro, ma quanto di saper leggere il presente alla luce del futuro.
Nel 92 gran parte dell'Europa (i paesi dell'est) era tagliata fuori dalla Comunità Europea. Per Langer – che era un forte sostenitore del progetto europeo – la Comunità non doveva limitarsi ad una questione economica, ma diventare una vera Unione degli stati europei democratici, un modello avanzato di integrazione volontaria capace di superare lo Stato nazionale per permettere a più identità etniche di convivere nel medesimo territorio. "La collettività - sosteneva Langer - è un prodotto storico e non biologico".
Langer conosceva bene il problema della convivenza interetnica, lui altoatesino di madrelingua tedesca, nato a Sterzing/Vipiteno nel 1946 dal padre Artur, medico, ebreo di origine viennese e dalla madre Elisabeth, farmacista, cattolica, italiana e sudtirolese.
Per Langer la risposta ai problemi delle società plurietniche non poteva passare attraverso politiche di inclusione forzata (cancellazione di identità, di lingue, delle diversità, ecc.) o esclusione forzata (ghettizzazioni, espulisioni, ecc.).
Le guerre della ex Jugoslavia erano appena cominciate , i crimini di guerra e le operazioni di pulizia etnica costarono migliaia di morti tra i civili.
Negli anni che seguirono Alex Langer fu più volte in missione europea su quei territori. Lui, uomo di pace, implorò un intervento che fermasse la carneficina in atto. Morì una settimana prima il massacro di Srebrenica dove migliaia di musulmani bosniaci, in età compresa tra i 14 e i 78 anni furono separati dalle donne e dai bambini e trucidati dalle truppe serbo bosniache in una zona che al momento doveva trovarsi sotto la tutela delle Nazioni Unite. Nel 2015 a Srebrenica si scava ancora nelle fosse comuni.

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